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Nucleare sì, nucleare no: gli effetti delle radiazioni

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In un precedente articolo, ci siamo concentrati sui problemi del settore elettrico italiano (1); la domanda che ci siamo posti era: quale sarà il contributo dell’ energia nucleare nel farvi fronte? Per rispondere, abbiamo affrontato il lato puramente economico del problema.

Ciò che più preoccupa l’opinione pubblica, però, sembra essere il rischio che questo tipo di produzione comporta per la salute umana. Per completezza, non si poteva non dedicare un contributo a quest’intricata questione.

Le fonti ufficiali: istruzioni per l’uso

Quando si ha a che fare con un problema così controverso, e disponendo di conoscenze limitatissime, l’unica cosa da fare è rivolgersi alle fonti ufficiali: agenzie ONU, OECD, Commissione Europea.

È all’interno di quest’ultima, infatti, che è stata portata avanti una delle più accreditate e imponenti iniziative in questo senso: il progetto ExternE, Esternalità dell’Energia, uno studio che mira ad analizzare gli effetti della produzione energetica, sull’ambiente, sul surriscaldamento globale, sulla salute umana. Anche i documenti pubblicati in seno all’OECD fanno riferimento a quest’ultimo.

La figura 1 è tratta da uno studio sull’energia nucleare pubblicato dalla NEA (Nuclear Energy Agency, facente capo all’OECD). L’impatto dell’inquinamento è misurato in termini di anni di vita persi, e la generazione elettronucleare è confrontata con altri sette tipi di impianti di produzione elettrica. Questo calcolo sembra andare a favore del nucleare, nettamente meno dannoso delle altre tecnologie.

Figura 1 Mortalità associata all’attività ordinaria in Germania

Questo risultato sembra non convincere gli antinuclearisti. Per capire perché, siamo risaliti direttamente alla fonte, cercando di capire anzitutto le modalità di analisi che hanno portato a questa conclusione.

L’approccio analitico

La metodologia utilizzata nell’ambito del progetto ExternE è il risultato della combinazione di due approcci diversi: l’analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessment, LCA) e l’approccio del sentiero di impatto (Impact Pathway Approach).

In un’ottica di LCA, lo studio non si limita ad analizzare gli effetti prodotti dalle operazioni che avvengono all’interno dell’impianto nel momento in cui si produce elettricità; l’analisi, al contrario, tiene conto di tutte le fasi relative alla costruzione dell’impianto, alla produzione del combustibile e all’eventuale smaltimento, all’estrazione delle materie prime, e così via.

Per la catena di energia nucleare, in particolare, si tiene conto di otto fasi principali: estrazione dell’uranio; macinazione; conversione; arricchimento; fabbricazione del combustibile; produzione di elettricità; smaltimento dei rifiuti a livello di bassa e media attività; riprocessamento e smaltimento dei rifiuti ad alto livello di attività o smaltimento del combustibile esaurito. La valutazione tiene conto anche della costruzione di impianti e infrastrutture, del funzionamento e dello smantellamento, e delle fasi intermedie di trasporto delle materie radioattive e dei rifiuti.

Solo in un secondo momento, si procede ad elencare i possibili fattori di impatto sull’ambiente o sulla salute umana (“fattori di stress”), come ad esempio emissioni nell’atmosfera, produzione di rifiuti solidi, rilascio termico, uso del suolo, etc…

In generale, viene analizzato il rilascio di sostanze (ad esempio, le polveri sottili) o energia (radiazioni, rumore) nell’acqua, nell’aria, e nel suolo. Questi tre elementi sono considerati dei media, poiché le sostanze e l’energiaviaggiano” attraverso di essi, raggiungendo l’uomo sia in modo diretto (ad esempio, con l’inalazione) che indiretto, attraverso al catena alimentare. L’approccio del sentiero di impatto consiste appunto nel “seguire” il percorso di questi materiali attraverso l’ambiente, eventualmente grazie a modelli preesistenti.

Dal calcolo della concentrazione degli agenti inquinanti nella regione, quindi, si risale ad una stima del’esposizione del pubblico ai fattori di stress; infine si passa a calcolare i danni che ne conseguono.

Quest’ultimo passaggio è effettuato tramite l’utilizzo di una funzione dose-risposta, ovvero di una funzione che associa la quantità di un agente inquinante che raggiunge il recettore (la popolazione) all’impatto fisico su quest’ultimo (ad esempio, il numero di morti).

Per ottenere dei risultati affidabili, quindi, è necessario che questa funzione sia nota per tutti gli agenti inquinanti presi in considerazione. Condizione, purtroppo, non sempre vera.

Anzitutto, l’entità dei danni varia al variare di alcuni fattori specifici del sito, come ad esempio il tempo di esposizione, ma soprattutto la densità di popolazione attorno al sito.

Altre difficoltà possono riguardare la scelta della scala geografica e temporale, la scarsa quantificabilità di alcuni effetti, o i metodi utilizzabili per la stima.

Generalmente, inoltre, non è possibile effettuare un’osservazione degli effetti senza una considerevole quantità di emissioni. Sorge quindi il dubbio che esista una soglia critica, al di sotto della quale non esistano conseguenze per l’organismo, oppure che al contrario la relazione tra danno e assorbimento sia più simile ad una funzione lineare. Per il nucleare,

si utilizza un modello di relazione lineare senza soglia critica: si assume che l’effetto biologico sia perfettamente proporzionale alle radiazioni a cui si è stati esposti.

Il calcolo in pratica

All’interno del progetto ExternE, si è scelto di analizzare, per ogni fase della catena energetica, una specifica tecnologia ed uno specifico sito. Per il nucleare, in particolare, ci si è rivolti agli impianti francesi, con alcune astrazioni di fondo.

Per il calcolo dei danni, ad esempio, sono stati utilizzati i coefficienti di rischio riconosciuti dalla Commissione Internazionale per la Protezione Radiologica (International Commission on Radiological Protection, ICRP).

Per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi di alto livello, inoltre, sono state effettuate delle ipotesi generiche, in quanto nessuno di questi impianti è attualmente in funzione in Europa. Ancora, per la stima degli effetti degli incidenti che potrebbero verificarsi durante il trasporto, l’analisi è stata circoscritta al rilascio delle sostanze più pericolose.

Per i dati mancanti, infine, si è preferito ricorrere a dati generici forniti dal Comitato Scentifico sugli Effetti delle Radiazioni Atomiche delle Nazioni Unite (United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation, UNSCEAR, 1993).

Per calcolare gli effetti dell’assorbimento delle radiazioni, si tiene conto di effetti radiologici come il cancro e le patologie ereditarie. Gli indicatori utilizzati sono le morti, le giornate di lavoro perse, le disabilità permanenti.

I risultati

L’assorbimento di radiazioni da parte dell’organismo è misurato in termini di dose equivalente o di intensità di dose equivalente.

La dose equivalente è una grandezza fisica che misura gli effetti biologici e il danno provocato dall’assorbimento di radiazioni su un organismo o su un determinato organo o tessuto. Si tratta di misurare la dose assorbita e di assegnarvi un peso a seconda delle conseguenze per l’organismo, che variano a seconda del tipo di radiazione in questione.

L’intensità di dose equivalente, invece, è definita come la dose equivalente ricevuta nell’unità di tempo (o tasso di dose), ed è misurata in sievert al secondo (Sv/s). Infine, quando si utilizza un modello lineare senza soglia critica, la misura della dose collettiva di una popolazione è il man-sievert (man.Sv).

La dose collettiva totale imputata agli impianti francesi ammonta a 13 man.Sv per un TWh. Il 93% di questa dose si riversa globalmente, ovvero oltre i 1000 km, ipotizzando che la popolazione mondiale si mantenesse costante sui 10 miliardi di persone, per un periodo di 100.000 anni. Il 4% della dose è assorbita dai lavoratori, mentre il 2% colpisce il pubblico locale (a meno di 100 km di distanza) e l’1% il pubblico regionale (fra i 100 e i 1000 km di distanza).

Al netto della dose globale, l’assorbimento di radiazioni da parte del pubblico locale (25%), regionale (19%), e dei lavoratori (56%) ammonta a 0,9 man.Sv per un Twh.

In termini più pratici, questi dati si tradurrebbero, per ogni TWh prodotto, in: 0,65 tumori mortali: 1,57 tumori non fatali; 0,13 gravi effetti ereditari, registrati su tutta la popolazione mondiale. Per i lavoratori del settore nucleare, invece, si stima che la produzione di 1 TWh porterebbe a 0,02 morti, 0,96 disabilità permanenti e 296 giornate lavorative perse.

Per farsi un’idea delle dimensioni del problema, la produzione di energia nucleare nel mondo, nel 2009, ammontava a 2558 TWh, di cui 391,7 in Francia. Eseguendo dei semplici calcoli, si può concludere che, nello stesso anno, fra i lavoratori del settore nucleare francese dovrebbero essere state registrate circa 7 o 8 morti. Ma, stando ai calcoli effettuati dagli studiosi coinvolti nel progetto, l’impatto sui lavoratori sarebbe dovuto in misura maggiore a incidenti di tipo non radiologico.

Al di là della teoria: le statistiche

Per quanto rassicuranti, queste stime non convincono fino in fondo. L’approccio utilizzato richiede di effettuare numerose astrazioni, risente della mancanza di dati e di informazioni precise. Di fronte a queste difficoltà, è naturale chiedersi se non si farebbe prima ad effettuare un semplice calcolo statistico delle manifestazioni tumorali nelle popolazioni insediate intorno alle centrali. Studi di questo tipo esistono, ma finora non sono stati ritenuti statisticamente significanti.

Uno dei primi esperimenti in tal senso, ad esempio, si ebbe nel Regno Unito alla fine del 1980: questo studio rilevò un’aumentata incidenza di leucemie infantili nei pressi degli impianti nucleari. Il Comitato sugli Aspetti Medici delle Radiazioni nell’Ambiente (Committee on the Medical Aspects of Radiation in the Environment, COMARE), però, concluse che l’esposizione alle radiazioni non fosse sufficiente a produrre danni di tale portata.

Mancanza di significatività, però, non vuol dire mancanza di correlazione: significa semplicemente che la correlazione potrebbe essere dovuta (con probabilità del 5-10%) a fattori casuali.

Nel 2002, la German radiation Protection Agency, commissionò uno studio sui tumori infantili nei pressi delle centrali nucleari, lo studio KiKK (Kinderkrebs um Kernkraftwerke).

La relazione finale, presentata nel 2008, rivelò che, nei bambini che vivevano a meno di 5 Km dalle centrali, si era registrato un aumento di 1,6 volte nei tumori “solidi” (non ematici, che colpiscono organi solidi) ed un aumento di 2,2 volte nelle leucemie. Uno studio ritenuto significativo, soprattutto data l’ampiezza del campione (16 reattori e 2185 patologie).

I risultati del KiKK furono irrobustiti, inserendo nello studio i dati provenienti da 17 articoli precedenti. In questi studi venivano analizzate le popolazioni attorno a 136 siti nucleari nel Regno Unito, in Canada, in Francia, negli Stati Uniti, in Germania, in Giappone e in Spagna. Nei bambini fino a 9 anni, i tassi di mortalità per leucemia registrati erano più alti

del normale, di circa il 5-24%. Nella relazione finale del KiKK, però, quest’ultima parte dell’indagine non venne citata.

Alcune possibili spiegazioni

Alla base dell’aumento del rischio di cancro potrebbero esservi almeno quattro fattori: irraggiamento diretto (raggi gamma e neutroni) dal reattore; radiazioni elettromagnetiche provenienti dalle linee di alimentazione in prossimità delle centrali; emissione di vapori dalle torri di raffreddamento; rilascio di sostanze radioattive nell’ambiente (ad esempio, il radiocarbonio).

I risultati dello studio sono stati sottoposti ad un test statistico, in modo da confermare la relazione di causalità fra la vicinanza alle centrali e le manifestazioni tumorali. Il test ha ottenuto un risultato positivo.

Resta comunque aperto il problema della coerenza con lo conoscenze esistenti: tuttora, si ritiene che i rilasci di radioattività siano troppo bassi per causare un così alto innalzamento del rischio di cancro. È per questo motivo che, nella comunità scientifica, la questione rimane aperta.

Così facendo, però, si respinge la possibilità che le stime in questione siano semplicemente errate, incerte, o inaffidabili.

All’indomani della pubblicazione del KiKK, infatti, sono state avanzate una serie di ipotesi che ne spiegassero i risultati. Una di queste riguarda l’assorbimento delle radiazioni nel periodo della gravidanza. Le pubblicazioni ufficiali in materia di radioprotezione, infatti, non tengono in considerazione i rischi a cui sono sottoposti specifici organi e tessuti embrionali durante la gestazione.

Oltre ad un’elevata incidenza di tumori infantili, infatti, il KiKK ha rivelato un aumento dei cancri embrionali: la maggior parte delle emissioni radioattive sono costituite da radiocarbonio e trizio; queste sostanze, una volta rilasciate nell’ambiente, si combinano con gli atomi stabili di idrogeno e carbonio. L’ interazione con le cellule prodotte nella formazione degli embrioni può portare a formazioni tumorali, anche dopo qualche anno dalla nascita. È stato inoltre stimato che l’assorbimento del trizio durante la gravidanza porta ad una concentrazione di questa sostanza nel feto più alta che nel corpo della madre, di circa il 60%.

Tirando le somme…

Tutti questi elementi suggeriscono che sia necessario riconsiderare le tradizionali procedure di valutazione dei rischi. Un dibattito scientifico serio, che tenga conto delle nuove scoperte, potrebbe aiutare ad evitare arroccamenti ideologici in entrambi gli schieramenti, formando un’opinione pubblica critica e solidamente ancorata alla realtà. Allo stesso tempo, spingerebbe verso una politica energetica più responsabile, che tenga in conto tutte le variabili del caso, e che si connetta alle preferenze della popolazione.

La scelta nucleare deve basarsi su una confronto veritiero dei costi ambientali, che, viste le controversie tuttora esistenti nella comunità scientifica, non è ancora stato effettuato.

Vale la pena di ricordare che le valutazioni di politica energetica sono strettamente legate alle caratteristiche del territorio: i danni provocati da una centrale nucleare saranno ben differenti a seconda che questa venga situata vicino ad una grande città o in una zona semidisabitata.

Allo stesso tempo, una situazione di limpidezza istituzionale, di attivismo nella società civile, di controllo della corruzione, sono caratteristiche irrinunciabili per una corretta gestione dei rischi.


1) http://www.eurasia-rivista.org/7167/l’assalto-italiano-alle-centrali-nucleari-la-fiera-delle-perplessita

Bibliografia

Risks and benefits of Nuclear Energy, OECD (2007), Parigi

Nuclear Electricity Generation: What Are the External Costs? OECD (2003), Parigi

ExternE Externalities of Energy – Methodology – 2005 Update, Commissione europea, Direzione Generale per la Ricerca (2005), Lussemburgo

ExternE Externalities of Energy – Vol.5 – Nuclear, Commissione europea, Direzione Generale XII Scienza, Ricerca e Sviluppo (1995), Lussemburgo

Ian Fairlie (2009), Childhood cancer near nuclear power stations, www.ehjournal.net/content/8/1/43


*Federica Nalli è dottoressa in Scienze Politiche (Università degli studi di Firenze)


Le opinioni espresse nell’articolo sono dell’Autrice e potrebbero non coincidere con quelle di “Eurasia”

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Verso una nuova cortina di ferro: lo scudo antimissile USA-NATO circonda l’Eurasia

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Fonte: http://globalresearch.ca/PrintArticle.php?articleId=22365

L’Europa occidentale attraverso la NATO e l’UE costituisce la principale testa di ponte degli USA in Eurasia.


Secondo Brzezinski: “[la NATO e l’UE costituiscono] il rapporto globale più importante dell’America. E’ il trampolino di lancio del coinvolgimento globale degli Stati Uniti, permettendo all’America di svolgere il ruolo determinante di arbitro in Eurasia – nell’arena mondiale centrale del potere – e crea una coalizione che a livello globale è dominante in tutte le principali dimensioni del potere e dell’influenza.”[1]
Le secondarie teste di ponte degli USA in Eurasia sono: (1) Giappone e Corea del Sud, (2) la penisola arabica e (3) le forze militari della NATO e degli Stati Uniti in Iraq e nell’Afghanistan occupati.
Questo è il motivo dell’espansione dello scudo antimissile degli Stati Uniti, da un progetto degli Stati Uniti e della NATO che dovrebbe compiersi, salvo sorprese. La globalizzazione della NATO è parte di questo processo. L’inserimento del progetto di scudo missilistico sotto l’egida della NATO, era già in cantiere negli anni ’90. In effetti, le dichiarazioni che la NATO ha appena adottato il progetto di scudo missilistico, nel 2010, sono abbastanza sfacciate.

La proliferazione dei missili NATO e degli Stati Uniti


Tutti i dati del sistema attivo di proliferazione missilistica della NATO sono stati cancellati nel 2006 con il programma Active Layered Theatre Ballistic Missile Defence (ALTBMD). All’interno della NATO, Stati Uniti, Gran Bretagna, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia e Repubblica Ceca hanno lavorato insieme per anni alla realizzazione di un sistema di scudo antimissile. Mentre Israele, India, Australia, Taiwan, Giappone e l’Ucraina sotto il suo precedente governo arancione erano tutti partner.
La NATO ha anche redatto un coordinamento delle politiche missilistiche nello stesso anno dell’invasione anglo-statunitense dell’Iraq, il 2003. Il progetto è stato ratificato dalla NATO l’anno successivo, nel 2004. Anche la Francia ha lavorato sul suo sistema antimissile balistico (SAMP-T), mentre olandesi, tedeschi e statunitensi insieme hanno dato il via allo sviluppo integrato dei sistemi anti-missile estesi Aereo/di Teatro tramite il Programma ‘Optic Windmill’.

“L’anello di fuoco” e la nuova cortina di ferro: I Tre Teatri del Programma dello scudo antimissile inter-continentale


Il progetto dello scudo antimissile è, in realta, la triade di tre scudi missilistici che formano un sistema globale di scudi antimissile che circonda l’Eurasia. I tre segmenti di teatro dello scudo missilistico hanno sede in Europa, Medio Oriente e Asia orientale. L’Asia orientale comprende sia l’Asia del nord-est che il sud-est asiatico. Inoltre, ci sono anche zone di sovrapposizione che collegano la triade degli scudi antimissile. Questi sono: (1) il Mediterraneo, che collega l’Europa e il Medio Oriente, (2) l’Oceano Indiano, che collega il Medio Oriente e l’Asia orientale, e (3) l’America del Nord.
Il Nord America è la profondità strategica di questo sistema d’arma e, in realtà, è il suo centro di comando. Il sistema è collegato alle difese anti-missili nordamericane degli Stati Uniti, del Canada e della Groenlandia. L’America del Nord è usata anche per potenziare i sistemi missilistici sia in Asia Orientale che in Europa.
Mentre l’Iran è citato come giustificazione per lo scudo antimissile in Europa, l’ubicazione degli impianti militari in Groenlandia dice qualcosa d’altro. Geograficamente, la Groenlandia non è un luogo adatto per monitorare ogni possibile minaccia missilistica dalla Corea del Nord e neanche è situata nel posto migliore per monitorare qualsiasi possibile minaccia missilistica iraniana. La Groenlandia è ideale per il monitoraggio dei missili russi che volano sul circolo polare artico, essendo la rotta più logica.
Il progetto missilistico europeo si rivolge principalmente alla Russia, mentre il progetto missilistico est asiatico è rivolto principalmente alla Cina, con il pretesto della difesa contro la Corea del Nord. La parte del Medio Oriente del progetto antimissile si trova in Israele e nel Golfo Persico, ospitati in paesi come Arabia Saudita, ed è volto contro Iran e Siria. La creazione di uno scudo missilistico in Turchia sarà principalmente volto contro l’Iran e la Siria, e fornirà anche la copertura per un tentativo israeliano di attaccare l’Iran. In questo contesto, molte voci in Turchia si sono opposte alla partecipazione della Turchia al progetto di scudo missilistico della NATO. Tra cui il leader del Partito della Voce del Popolo della Turchia, che ha detto che il progetto di scudo missilistico potrebbe condurre alla terza guerra mondiale. [2]

Dalla nuova cortina di ferro a Star Wars: la militarizzazione dello spazio


Per quanto riguarda il progetto missilistico asiatico, anche l’Australia ha lavorato con gli Stati Uniti e Giappone. Vi è anche una processo per creare uno scudo missilistico in Asia meridionale con l’India. Questo significa che l’Eurasia sarà circondata da un anello di sistemi missilistici.
Ecco anche perché la Russia sta lavorando a stretto contatto con i suoi alleati in Kazakistan, Bielorussia e Cina sulla difesa missilistica e la Cina ha sviluppato un sistema missilistico in grado di distruggere i satelliti USA-NATO. Il sistema globale multi-strato dello scudo anti-missile USA e NATO, è legato alla militarizzazione dello spazio.

NOTE
[1] Zbigniew Brzezinski, The Geostrategic Triad: Living with China, Europe, and Russia (Washington, DC: Center for Strategic and International Studies Press, November 3, 2000), p.29.
[2] Serkan Demirtas, “NATO shield could cause World War III, Turkish party leader says”, Hürriyet Daily News and Economic Review, November 24, 2010.

Mahdi Darius Nazemroaya è un ricercatore associato presso il Centro di Ricerca sulla Globalizzazione (CRG).

Traduzione Alessandro Lattanzio
http://www.aurora03.da.ru
http://www.bollettinoaurora.da.ru
http://sitoaurora.xoom.it/wordpress/

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Henry Corbin: Eurasia como concepto espiritual

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Desde Irlanda a Japón

“Subrayar y enfatizar las conexiones, las líneas de fuerza en las que se sustenta la trama del concepto espiritual de Eurasia, desde Irlanda a Japón” (1): a esta preocupación de P. Masson Oursel, que se inspira en un programa esbozado en 1923 en la Philosophie comparée y proseguido en 1948 en La Philosophie en Orient (2), Henry Corbin (1903-1978) le atribuye un “valor especial” (3). Trascendiendo el nivel de las determinaciones geográficas e históricas, el concepto de Eurasia viene a constituir “la metáfora de la unidad espiritual y cultural que recompondrá al final de la era cristiana en vista de la superación de los resultados de ésta” (4). Estas son, al menos, las conclusiones de un estudioso que en la obra corbiniana ha descubierto las indicaciones idóneas para fundar: “aquella gran operación de hermenéutica espiritual comparada, que es la búsqueda de una filosofía – o mejor dicho: de una sabiduría – eurasiática” (5). En otras palabras, la misma categoría geofísica de “Eurasia” no es más que la proyección de una realidad geosófica vinculada a la Unidad originaria, puesto que “Eurasia” es, en la percepción interior, en el paisaje del alma o Xvarnah (“Luz de Gloria”, en el léxico mazdeo), la Cognitio Angelorum, la operación autológica del Anthropos Téleios, o incluso, por último, la unidad entre el Lumen Naturae y la Lumen Gloriae. De aquí la posibilidad de acercar a Eurasia con el conocimiento imaginal de la Tierra como un Ángel” (6).

Es el mismo Henry Corbin quien evoca la experiencia visionaria del filósofo alemán Gustav Theodor Fechner, que identificó con la figura de un Ángel el rostro de la tierra envuelta de luz gloriosa, y para citar el pasaje concordante de un ritual avéstico: “Celebramos esta liturgia en honor de la Tierra, que es un ángel ” (7). De hecho, según la doctrina mazdeísta, a la Tierra se la percibe en la “persona” de su Ángel, cuando el alma, proyectando la imagen de sí misma, crea una Imago Terrae que la refleja. La angelología mazdeísta traduce el misterio de esta proyección de la siguiente manera: Spenta Armaiti, Arcángel femenino de la existencia terrenal, es la madre de Daena, el Ángel femenino que sustancia a la Alma caelestis, el Cuerpo de Resurrección. De esta manera, “la formulación misma de la categoría geofísica de “Eurasia” pertenece al proceso de palingenesia, que es la Resurrección a la luz de la Transfiguración ” (8).

La geosofía mazdeísta, íntimamente vinculada con la esencial característica sofiánica de Spenta Armaiti , se refiere principalmente a una Tierra celeste; aplicada al espacio terrestre, se nos presenta un kyklos, un orbis, similar a lo que Homero ha simbolizado en el escudo de Aquiles y Virgilio en el de Eneas (9), es decir, para permanecer en el ámbito iránico, con ese atributo del Hombre Universal (insân-e kâmil) que es la Copa de Jamshid. En esta representación, la Tierra está rodeada del océano cósmico y dividida en siete zonas (Keshvar) (10); en el centro de la zona central, llamada Xvaniratha (“rueda luminosa”), “se encuentra Airyanem Vaejah (pahlavi Erân-Vêj), la cuna o germen de los Arios (= Iránicos). Es allí donde se crearon los Kayanidi, los héroes legendarios; es ahí donde fue fundada la religión mazdeísta, desde donde se difunden a los otros Keshvar; es allí donde nacerá el último de los Saoshyant quién reducirá a Ahriman a la impotencia y llevará a cabo la resurrección y la existencia venidera”(11).

Situado al centro de la superficie de la tierra, Irán se nos presenta por lo tanto, como “bisagra, no sólo geográfica, sino también y sobre todo espiritual” (12), de la ecúmene eurasiática.

La representación mazdeísta, posteriormente reelaborada, pasó a formar parte del legado cultural que Irán le trasmitió al Islam. En el Kitab al-Tafhîm de Abû Rayhân Mohammad ibn Ahmad Bîrûnî (362 / 973 – 421 / 1030) (13) se encuentra un esquema en el cual el círculo central, Irán, está rodeado de otros seis círculos, tangentes entre sí, que corresponden a otras tantas regiones: India, Arabia y Abisinia, Siria y Egipto, la zona bizantino-eslava, el Turquestán, China y el Tíbet.

Oriente y Occidente

Según la perspectiva islámica, el centro del mundo terrestre se encuentra en la Kaaba, el más antiguo de los templos de Dios, inicialmente construido en la época de Adán, después edificado por Abraham en su forma actual. En la planta y la estructura de este santuario primordial y central meditó Qâzî Sa‘îd Qommî (1042/1633 – 1103/1691- 92) en el primer capítulo de la Kitâb asrâr al-Hajj (“El sentido esotérico de la Peregrinación”), que constituye el objeto de un minucioso estudio de Henry Corbin (14).

“Siempre entra en juego – dice éste último – el mismo principio: las formas de luz (sowar nûrîya), las figuras superiores se imprimen en las realidades de abajo que son sus espejos (subrayemos que, geométricamente las consideraciones elaboradas aquí seguirían siendo válidas sí se tomara como objeto de meditación la forma del templo griego)” (15). Ahora, en el plano superior de las Realidades-arquetipos […] encontramos cuatro “límites metafísicos” (16), dos de las cuales (la Inteligencia Universal y el Alma Universal) se encuentran al este de la realidad ideal, mientras que las otras dos (la Naturaleza Universal y la Materia Universal) se encuentran hacia el oeste. La ley rigurosa de las correspondencias exige que en el plano de la Ka’ba terrestre, los ángulos estén igualmente dispuestos según el mismo orden de relación: “Dos de estos ángulos están hacia el oriente: el ángulo en el que está encajada la Piedra Negra (el ángulo iraquí) y el ángulo yemenita; los otros dos están al occidente: el ángulo occidental y el ángulo sirio “(17). Son estos dos orientes (mashriqayni) y los dos occidentes (maghribayni) los que alude el versículo 17 de la sura del Misericordioso, puntualmente citado por Corbin.

El versículo coránico llama a otro, el que comienza con las palabras: “A Dios pertenece el Oriente y el Occidente” (sura de la Vaca, 115). “Gottes ist der Orient! – Gottes ist der Okzident!”: es la forma en que la reconstruye Wolfgang Goethe, a quien Corbin nos muestra más de una vez la convergencia con la sabiduría islámica.

Pero la pareja “Oriente-Occidente ” retorna en el versículo de la Luz, en parte reportado en el epígrafe al primer capítulo de su estudio sobre El hombre de luz en el sufismo iranio: ”… una lámpara que arde con un aceite de olivo que no es ni de Oriente ni Occidente, inflamándose sin necesidad siquiera de que el fuego la toque… Y es luz sobre luz.

“Entre Oriente y Occidente, como entre Norte y Sur, recorren líneas ideales de las cuales dependen no sólo la orientación geográfica, sino también la categoría antropológica. En la perspectiva del simbolismo espiritual, estas direcciones horizontales asumen un sentido en base al modo en que el ser humano experimenta la dimensión vertical de su presencia en el espacio y en el tiempo; y es una orientación de este género lo que constituirá uno de los principales temas del sufismo iranio: “es la búsqueda de Oriente, pero se nos advierte, por si acaso no lo comprendamos desde el primer momento, que se trata de un Oriente que no se encuentra en nuestros mapas geográficos ni puede ser situado en ellos. Este Oriente no está incluido en ninguno de los siete climas (los keshvar); es, de hecho, el octavo clima. Y la dirección en que este “octavo clima” debe ser buscado no está en la horizontal sino en la vertical. Este Oriente místico suprasensible, lugar del Origen y el Retorno, objeto de la búsqueda eterna, está en el polo celeste; es el Polo, un extremo norte, tan extremo como el umbral de la dimensión del más allá” (18). La geografía sagrada de Irán hace corresponder a este Polo celeste a la montaña cósmica de Qâf, donde comienza aquel mundo de Hûrqalyâ que es iluminado por el sol de medianoche. Es la tierra de los Hiperbóreos (19), los cuales “simbolizan al hombre cuya alma ha alcanzado tal perfección y armonía que está libre de negatividad y de sombra; no es ni de Oriente ni de Occidente” (20).

Ishraq, nombre verbal, que en árabe significa el irradiar del sol desde el punto del cual surge, es un término peculiar de la sabiduría islámica de Irán. Ishrâqîyûn o Mashriqîyûn (“Orientales”) son los sabios de la antigua Persia, llamados así “ciertamente no sólo por su ubicación geográfica, sino porque su conocimiento era oriental, en el sentido que se fundamentaba sobre la revelación interior (kashf) y la visión mística (moshâhadat) “(21).

Sin embargo, el significado del Oriente como un Oriente iluminativo, dirección que conduce al Polo espiritual, no es un concepto que caracteriza exclusivamente al pensamiento tradicional iranio. “Esta orientación se daba ya a los mistagogos del orfismo. Se la encuentra en el poema de Parménides donde, guiado por las hijas del sol, el poeta emprende un viaje hacia Oriente. El sentido de las dos direcciones, derecha e izquierda, Oriente y Occidente del cosmos, es fundamental en la gnosis valentiniana. (…) Ibn ‘Arabi (1240) eleva a símbolo su propia partida a Oriente; del viaje que de Andalucía le lleva hacia La Meca y Jerusalén hace su Isra’, homologándolo a un ékstasis que repite la ascensión del Profeta de cielo en cielo hasta el “Loto del límite”. Aquí el Oriente geográfico, “literal”, se convierte en símbolo del Oriente “real”, el polo celeste” (22).

Umbilicus Terrae

En la geografía sagrada resultante de las exploraciones espirituales de Henry Corbin, el extremo occidental de Eurasia está representado por las Islas Británicas. Aquí los fieles de la iglesia celta primitiva fueron designados en irlandés como céle Dé: denominación que equivale a Amici Dei, “se encuentra en la gnosis islámica (Awliyâ’ Allâh) y en la mística renana (Gottesfreunde)” (23). Estos Coli Dei, “establecidos en York (Inglaterra), en Iona (Escocia), en el país de Gales y en Irlanda, su símbolo fundamental era la paloma, como símbolo femenino del Espíritu Santo.

Desde esta perspectiva, no resulta extraño encontrar el druidismo mezclado a su tradición y los poemas de Taliesin integrados a sus corpus. Igualmente, la epopeya de la Mesa Redonda y la Demanda del Santo Graal han sido también interpretadas en relación con los ritos de los Coli Dei” (24). A esta misma hermandad espiritual es reconducida la existencia del santuario de Kilwinning, sobre la montaña de Heredom, desde donde se irradió aquel Orden Real por el cual el rey Robert I Bruce se habría afiliado a los Templarios, realizando la convergencia entre el celtismo y el templarismo.

En la otra extremidad de Eurasia se extiende la China “el límite del mundo humano, del mundo que puede ser explorado por el hombre en las condiciones de la conciencia común” (25). Por otra parte, influencias taoístas se habrían ejercido sobre la hierocosmologia del sufismo centroasiático y sobre algunas técnicas de recitación del dhikr adoptadas por la escuela de Najm Kobra (26). Entre los templos que se levantan en los confines de China hay uno, descrito en el siglo X por el historiador árabe Mas‘ûdî (27), que en su estructura obedece al paradigma arquitectónico de los templos sabeos; el mismo Mas‘ûdî había visto aquel de Harrán (la antigua Carrhae), y pudo todavía leer en el umbral la inscripción de tenor platónico: “Aquél que se conoce a sí mismo es deificado” (Man ‘arafa nafsahu ta’allaha). “Inscripción de tenor platónico” (28), cierto, en el que “el término técnico árabe es el equivalente de la theosis de los místicos bizantinos” (29), pero también la explicación del precepto délfico, que finalmente será validado en el hadîth qudsî: “Quién se conoce a sí mismo conoce a su Señor ” (Man ‘arafa nafsahu ‘arafa rabbahu). Mientras tanto, los hermetistas sabeos de Harrán aportarán en dote al Islam su herencia, derivada de una antigua sabiduría siríaca o siriobabiloniense reinterpretada a la luz del neoplatonismo.
Equidistante de Escocia y China está Al-Quds, “la ciudad santa” por antonomasia. En el lugar donde inició la Asunción el Mensajero de Dios – según Corbin un verdadero Umbilicus Terrae – “asume ahí una función homóloga a la de la Piedra Negra en el templo de la Ka’ba” (30), la Cúpula de la Roca (Qubbat al-Sakhrat). Este edificio, comúnmente llamado la Mezquita de Omar, “tiene la forma de un octógono regular culminado por una cúpula; fue el prototipo de las iglesias templarias construidas en Europa, y la cúpula fue el símbolo de la Orden y figuraba en el sello del Gran Maestre” (31). Este entrelazamiento de líneas espirituales diferentes hace de Jerusalén el simbólico edificio microcósmico, en el que se refleja la multiplicidad tradicional del macrocosmos eurasiático, aquella multiplicidad de formas que Henry Corbin nos presenta en su unidad esencial.

La oposición radical entre Jerusalén y Atenas, identificadas como polos emblemáticos respectivamente del monoteísmo y el politeísmo, es el punto donde convergen entre ellos los zelotas de las supuestas “raíces judeo-cristianas” de Europa y algunos defensores de un malentendido “paganismo” griego. Sostener una posición de este tipo, queriendo reducirle a un esquema ideológico a una relación más bien profunda, compleja y articulada de cuanto no se imaginan los “judeo-cristianos” y “neopaganos”, significa ignorar cómo la más rigurosa doctrina metafísica de la Unidad (el Tawhid integral de la metafísica islámica) no excluye de hecho la multiplicidad relacionada a la jerarquía de los Nombres Divinos. Entre los que han entendido perfectamente lo anterior, está justamente Henry Corbin, quien, mediante el establecimiento de una ideal “comparación, por una parte entre Ibn ‘Arabî (…) y Proclo, por otra” (32) y recordando el comentario del jefe de escuela de Atenas al Parménides platónico, evoca el encuentro de los físicos de la escuela jónica con los metafísicos de la Escuela Itálica, unos y otros se encuentran en la ciudad-símbolo de Atenas para participar en las Panateneas. “Celebrar esta fiesta – él escribe- es encontrar en la escuela ática de Sócrates y Platón la mediación que eleva los dos extremos a un nivel superior” (33).

1. Henry Corbin, L’Iran e la filosofia, Guida, Napoli 1992, p. 62.
2. P. Masson-Oursel, La Philosophie en Orient, in Histoire de la philosophie, a cura di É. Bréhier, Paris 1948, 1° fasc. suppl.
3. Henry Corbin, L’Iran e la filosofia, cit., ibidem.
4. Glauco Giuliano, Nitartha. Saggi per un pensiero eurasiatico, La Finestra, Lavis 2004, p. 14
5. Glauco Giuliano, Nitartha, cit., p. 221
6. Glauco Giuliano, Nitartha, cit., p. 16.
7. Sîrôza, vigésimo octavo día, op. cit.: Henry Corbin, Cuerpo espiritual y Tierra Celeste. Del Irán mazdeísta al Irán chiíta, Ediciones Siruela, Madrid, 1996, p. 37.
8. Glauco Giuliano, Nitartha, cit., p. 16, n. 25.
9. Ilíada, XVIII, 478-608; Eneida, VIII, 626-728.
10. La división septenaria del espacio terrestre que se repite en otras culturas tradicionales: cf. Claudio Mutti, Gentes. Popoli, territori, miti, Effepi, Genova 2010, pp. 19-20.
11. Henry Corbin, Cuerpo espiritual y Tierra Celeste, cit., p. 51.
12. Glauco Giuliano, Nitartha, cit., p. 22.
13. Henry Corbin, Historia de la Filosofía. Del mundo romano al Islam Medieval, vol. 3. Siglo veintiuno editores, México DF, 1990, pp 307-308.
14. Henry Corbin, Templo y contemplación, Editorial Trotta, Madrid, 2003, pp. 181-257. Sobre Qâzî Sa’îd Qommî, cf. Henry Corbin, Historia de la Filosofía. La Filosofía en Oriente, vol. 11. Siglo veintiuno editores, México DF, 1990, p. 154-157
15. Henry Corbin, Templo y contemplación cit., p. 206.
16. Henry Corbin, Templo y contemplación cit., p. 207.
17. Henry Corbin, Templo y contemplación, cit., p. 207.
18. Henry Corbin, El hombre de luz en el sufismo iranio, Ediciones Siruela, Madrid, 2000, p. 20.
19. Sobre la Hiperbórea y similares representaciones tradicionales de la septentrional “Tierra de luz”, cf. Claudio Mutti, op. cit., pp 15-23.
20. Henry Corbin, El hombre de luz en el sufismo iranio, cit., p. 56.
21. Henry Corbin, Storia della filosofia islamica, cit., p. 211.
22. Henry Corbin, El hombre de luz en el sufismo iranio, cit., págs. 73-74.
23. Henry Corbin, Templo y contemplación, cit., p. 342 n. 217.
24. Henry Corbin, Templo y contemplación, cit., p. 342.
25. Henry Corbin, Templo y contemplación, cit., p. 132.
26. Henry Corbin, El hombre de luz en el sufismo iranio, cit., pp. 72 y 77 y ss.
27. Mas’ûdî, Les prairies d’or, ed. e trad. Barbier de Maynard, Paris 1914, vol. IV, p. 52.
28. Henry Corbin, Templo y contemplación, cit., p. 133.
29. Henry Corbin, Templo y contemplación, cit., p. 133, n 7.
30. Henry Corbin, Templo y contemplación, cit., p. 351.
31. Henry Corbin, Templo y contemplación, cit., p. 334.
32. Henry Corbin, La paradoja del monoteísmo, Editorial Losada, Madrid, 2003, p. 22.
33. Henry Corbin, La paradoja del monoteísmo, cit., p. 30.

(traducido por Francisco de la Torre Freire)
Eurasia. Rivista di Studi Geopolitici, n. 2/2010

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PLA, il barometro delle relazioni USA-Cina

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Fonte: http://www.southasiaanalysis.org/papers43/paper4258.html

1. L’Esercito di Liberazione Popolare (PLA) della Cina è il barometro delle relazioni USA-Cina. Quando succede qualcosa di negativo, si ha un maggiore impatto sulle relazioni militari tra i due paesi che sulle relazioni economiche. Mentre il PLA esclude il pericolo di un conflitto militare globale tra la Cina e gli Stati Uniti, non esclude il pericolo di conflitti regionali. Secondo il PLA, gli Stati Uniti vedono la Cina come un grande avversario strategico. Mentre ci potrebbe essere un miglioramento tattico-militare nelle relazioni militari, qualsiasi miglioramento duraturo e strategico con gli Stati Uniti, dipende dalla definitiva sospensione delle vendite di armi a Taiwan, rimuovendo le legislazioni discriminatorie che colpiscono le esportazioni sensibile dagli USA verso la Cina e la fine delle presunte intrusioni di navi e aerei della marina degli Stati Uniti nelle zone che la Cina vede come sue zone economiche esclusive. La Cina è ancora solo una potenza regionale, ma con influenza globale. Mentre le sue relazioni con gli Stati Uniti sono importanti, le sue relazioni con i paesi vicini sono altrettanto importanti. Deve migliorare le sue relazioni con essi, se vuole tenerli lontano dall’abbraccio con gli Stati Uniti. Questi sono alcuni dei punti figuranti nelle discussioni di fine anno in Cina, sul significato della prossima visita di Robert Gates, Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, che sarà seguita da una visita di Stato a Washington DC, del presidente Hu Jintao.

2. L’anno nuovo vedrà Gates in visita in Cina dal 9 al 12 gennaio e il presidente Hu in visita a Washington il 19 gennaio. Saranno queste due visite importanti a ridurre le tensioni che sono sorte nei rapporti tra Stati Uniti e Cina nel corso del 2010? Le tensioni sono iniziate a causa della decisione dell’amministrazione del presidente Barack Obama di vendere un nuovo pacchetto di armi a Taiwan e, successivamente, a causa dell’aperto interesse degli Stati Uniti nella controversia sul Mar Cinese meridionale tra la Cina e alcuni paesi dell’ASEAN, e le esercitazioni navali congiunte degli Stati Uniti e della Corea del Sud, dopo l’affondamento di una nave sudcoreana da parte della Corea del Nord, nel marzo dell’anno scorso.

3. La ritorsione di Pechino contro la decisione degli Stati Uniti di vendere armi a Taiwan è stata la sospensione del dialogo militare-militare tra i due paesi. Una serie di programmi di scambi militari, previstd da entrambe le parti, è stata cancellata, tra cui una visita in Cina di Gates, lo scambio di visite tra Chen Bingde, Capo di Stato Maggiore Generale dell’Esercito di Liberazione Popolare (PLA) e l’ammiraglio Mike G. Mullen, Presidente del US Joint Chiefs of Staff, e lo scambio di visite da parte di navi da guerra dei due paesi.

4. Tuttavia, Pechino non ha consentito che la sua irritazione per la vendita di armi a Taiwan uscisse durante la visita del presidente Hu Jintao a Washington, nell’aprile dello scorso anno, per partecipare al vertice della sicurezza nucleare. Inoltre non ha effettuato le sue minacce iniziali d’imporre sanzioni contro le aziende statunitensi che vendono attrezzature militari a Taiwan in spregio alle proteste cinesi.

5. La reazione della leadership militare cinese a questi sviluppi, però, è più forte della reazione della leadership politica. Oltre a intensificare le esercitazioni militari nel Mar Giallo e nelle zone costiere limitrofe, per contrastare le esercitazioni navali congiunte USA-Corea del Sud, il PLA è rimasto fortemente contrario a una rapida ripresa degli scambi militari. Si ritiene che ci sia una grande opposizione della leadership di PLA alla visita di Gates, che attende di compiere la sua visita in Cina da quando ha partecipato a una conferenza a Singapore (il Dialogo Shangri-La), di giugno scorso.

6. Nel mese di ottobre, vi erano indizi che la leadership del PLA ammorbidisse la sua opposizione a riprendere gli scambi militari con gli Stati Uniti. Liang Guanglie, consigliere di Stato e ministro della Difesa cinese, ha incontrato Gates ad Hanoi per la prima volta lo scorso anno, a margine della conferenza dei ministri della difesa sponsorizzata dall’ASEAN. Durante l’incontro, Liang Guanglie ha invitato Gates a visitare la Cina nei primi mesi del 2011, e Gates ha accettato. Nel mese di dicembre, Ma Xiaotian, il Sottocapo di Stato Maggiore del PLA, e Michele Flournoy, il Sottosegretario alla Difesa degli Stati Uniti, hanno presieduto congiuntamente l’11.ma consultazione della difesa Cina-USA, a Washington, DC.

7. E’ stato annunciato, successivamente, che su invito di Liang Guanglie, Gates andrà in visita in Cina dal 9 al 12 gennaio 2011. L’Associazione per l’amicizia con l’estero del popolo cinese e il Centro di Ricerca sulle relazioni sino-americane della Università Tsinghua, hanno congiuntamente organizzato un seminario per discutere del rapporto tra le forze armate degli Stati Uniti e della Cina. La data in cui si è tenuto questo seminario non sono note, ma il “PLA Daily” ha pubblicato un report in tre parti su questo workshop, il 29, 30 e 31 dicembre.

8. Una lettura dei punti salienti degli interventi pronunciati al Workshop, come riportato dal “PLA Daily”, indica che anche se la leadership del PLA aveva tolto la sua opposizione alla ripresa degli scambi militari con la sua controparte statunitense, ha ancora riserve mentali sulla possibilità di tali scambi. Alcuni di questi punti salienti sono i seguenti:

Contrammiraglio Yang Yi (ex direttore dell’Institute for Strategic Studies della National Defense University del PLA): “I contatti militari sono la “banderuola” delle relazioni Cina-USA. Cina e Stati Uniti detengono diversi punti di partenza negli scambi militari. Gli Stati Uniti, attraverso questi scambi, vogliono conoscere le linee nel PLA e le intenzioni dei militari cinesi, considerando che la Cina aderisce alla posizione secondo cui i legami militari devono servire la situazione generale e non dovrebbero oscillare sulle intenzioni degli Usa. La Cina non dovrebbe mai allentare i suoi sforzi per realizzare i suoi obiettivi strategici, nonostante le presunte preoccupazioni degli Stati Uniti. Tuttavia, si potrebbe mantenere la comunicazione strategica con gli USA.”

Prof. Wang Baofu (della National Defense University del PLA): “Perché le relazioni militari Cina-USA sono così fragili? La ragione è che gli affari militari sono sensibili. Quando qualcosa di sbagliato accade nelle relazioni Cina-USA, i contatti militari sono inclini a essere sospesi. Comparativamente parlando, l’impatto degli sviluppi negativi sulle relazioni militari è maggiore che sulle relazioni economiche. Le relazioni militari tra Cina e USA sono ancora in via di sviluppo, come risulta dai progressi compiuti nel contatto e negoziato sulle armi nucleari e le questioni spaziali.”

Prof. Ouyang Wei (della National Defense University del PLA): “La causa principale della mancanza di cooperazione militare tra Cina e Stati Uniti è l’assenza di fiducia strategica reciproca. Relazioni tra la Cina e gli USA sono complessi che coinvolgono sia la concorrenza che la cooperazione. Questi riguardano sia le relazioni globali che locali, che sono asimmetriche. In molti casi i rapporti locali sono conflittuali mentre quelli generale non necessariamente sono così. La Cina dovrebbe comportarsi come una potenza regionale che ha influenza globale. Ci si deve preoccupare non solo la propria sicurezza, ma anche della sicurezza di altri paesi. Abbiamo bisogno di considerare le questioni riguardanti diversi paesi dal punto di vista della strategia globale, invece di considerarli dal punto di vista bilaterale. Io propongo un concetto di “comunità economica e della sicurezza dell’Asia orientale” per rendere i paesi dell’Asia orientale dipendenti economicamente e fiduciosi nella sicurezza. Da questo punto di vista, le relazioni Cina-Giappone possono anche portare alla situazione di “cercare un terreno comune, pur conservando le differenze”. Pertanto, l’influenza dell’alleanza Giappone-Usa può essere mitigata.”

Magg. Gen. Peng Guangqian (segretario generale della National Security Policy Committee della China Association of Policy Science Study): “Il paradosso che si presenta nelle correnti relazioni militari Cina-USA è che la globalizzazione approfondisce la cointeressenza, da un lato, e aggrava l’attrito tra interessi, dall’altro. L’interesse nell’inter-dipendenza può ridurre il rischio di una guerra mondiale, in una certa misura, ma fa poco per prevenire i conflitti di piccole dimensioni, figuriamoci radice la causa di una guerra. L’equilibrio di deterrenza nucleare può ridurre il rischio di una guerra nucleare globale, ma non può impedire lo scoppio della guerra convenzionale. Gli Stati Uniti hanno già messo la Cina nella posizione strategica di importante potenziale avversario che contesterà i loro interessi in futuro. Inoltre, il movimento verso est del fulcro del dispiegamento militare strategico degli Stati Uniti dall’Europa alla regione Asia-Pacifico, e la sistemazione di Guam come nuovo polo militare strategico, sono sostanzialmente completati. Gli Stati Uniti hanno verificato la loro capacità e teoria di combattimento attraverso una serie di esercitazioni orientate al combattimento reale, tra cui le esercitazioni militari Corea del Sud-USA e le esercitazioni militari USA-Giappone.”

9.In un commento sulla visita di Gates pubblicato il 29 dicembre, il “PLA Daily” ha dichiarato: “Alcuni esperti hanno sottolineato che la visita potrebbe non essere sufficiente ad eliminare completamente i tre principali ostacoli che impediscono lo sviluppo delle relazioni militari tra le due parti. “La vendita di armi Usa a Taiwan, le rilevanti leggi approvate dal Congresso degli Stati Uniti per limitare gli scambi tra i due eserciti e le frequenti ricognizioni nelle aree economiche esclusive della Cina delle navi da guerra e aerei da guerra statunitensi, sono ostacoli che impediscono lo sforzo per stabilire la fiducia reciproca e sviluppare cooperazione tra le due forze armate”, ha detto il contrammiraglio cinese Yang Yi. Le relazioni militari sono sempre state viste come la “banderuola” o il “barometro” che riflette le relazioni tra stati. Gli esperti pensano che la visita di Gates non può che spingere in avanti la cooperazione militare tra le due parti, ma anche promuovere e integrare le relazioni Cina-Usa”.

10. In una intervista di fine anno diffusa da Xinhua, il 29 dicembre, il ministro della Difesa cinese Liang Guanglie ha detto: “Senza i più di due milioni di soldati delle forze armate… la Cina sarebbe un paese debole. Un aspetto importante della sua forte potenza nazionale, penso, è una difesa forte. Nonostante la crescente potenza nazionale e influenza globale, la situazione internazionale rimane complessa, mentre diversi fattori d’instabilità adombrano la sicurezza cinese. Una guerra che coinvolga l’intero Paese è impossibile al momento, ma vi è la possibilità che un incidente o infortunio possa infiammare dei conflitti regionali. Per migliorare la nostra potenza nazionale globale (dobbiamo fare in modo) che i nostri interessi di base non siano ostacolati. Dobbiamo mettere la sovranità e la sicurezza della nazione al vertice, nella comprensione comune di tutto il partito (Partito Comunista della Cina) e di tutto il popolo.”

11. Mentre la Cina si prepara a ricevere Gates, il PLA fa in modo che le sue opinioni e le percezioni siano considerate nelle relazioni USA-Cina. La saggezza convenzionale è che in campo militare, il partito decide e il PLA attua. In materia di relazioni con gli USA, il partito decide, ma con il concorso del PLA. Il PLA non è un semplice subordinato senza una mente propria. Ha un pensiero propria ed è pronta a esprimerlo in pubblico e non solo necessariamente entro i confini del partito o della Commissione Militare Centrale. Questo è il messaggio che è uscito.

L’autore è Segretario Aggiunto (in pensione), Segreteria del governo dell’India, Nuova Delhi e, attualmente, Direttore dell’Istituto di alti studi di Chennai, e associato al Centro Studi sulla Cina di Chennai.


Traduzione Alessandro Lattanzio
http://www.aurora03.da.ru
http://www.bollettinoaurora.da.ru
http://sitoaurora.xoom.it/wordpress/

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L’asse Turchia-Siria-Iran in Medio Oriente

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Il riavvicinamento tra Turchia, Siria e Iran, sancito dalla recente visita a Istanbul dei presidenti iraniano e siriano, sta creando in Medio Oriente un nuovo asse regionale che potrebbe sostituire l’ormai debole triangolo arabo formato da Arabia Saudita, Siria ed Egitto.

Indubbiamente il nuovo trio presenta attori autorevoli, ognuno dei quali può disporre di importanti risorse strategiche: l’Iran è ricco di fonti energetiche ed ha in mano un’importante e ben nota carta nucleare; la Turchia è un’emergente potenza euro-asiatica oltre che un importante membro della NATO; la Siria, infine, esercita ancora un’influenza considerevole sul Libano ed era già presente nel vecchio triangolo siro-egiziano-saudita. Si tratta inoltre di tre Paesi che hanno promosso una politica di apertura delle frontiere che potrebbe dar vita ad un mercato di oltre 150 milioni di persone.

Il triangolo arabo

La mancata intesa tra Siria ed Egitto sulla questione palestinese e le tensioni tra Damasco e l’Arabia Saudita per quanto concerne la questione iraniana hanno contribuito negli ultimi anni a ridimensionare l’influenza del cosiddetto triangolo arabo. Un triangolo che, nato alla vigilia della guerra del 1973 contro Israele (Guerra del Kippur) per recuperare le terre occupate dagli israeliani nel 1967, è stato in grado di dar luogo a grandi cambiamenti nel mondo arabo, come testimoniano la cooperazione fra i tre Paesi nella stipulazione dell’accordo di Taif del 1989 (che pose fine alla guerra civile libanese) e il loro sostegno alla guerra degli Stati Uniti per la liberazione del Kuwait dall’occupazione irachena.

Il trio, pur non trasformandosi mai in un’alleanza formale, ha rappresentato uno strumento efficace per promuovere gli interessi dei tre Paesi arabi: l’Egitto, ad esempio, sfruttò la guerra del Kippur per raggiungere un’intesa “separata” con Israele; la Siria usufruì dell’accordo di Taif per aumentare la sua influenza sul Libano; l’Arabia Saudita, infine, approfittò della debolezza irachena per accrescere, sotto il controllo degli Stati Uniti, il proprio potere nella regione mediorientale.

Negli ultimi anni, tuttavia, gli interventi statunitensi nell’area dopo l’11 settembre, l’incapacità del trio arabo di dare risposte congiunte e condivise alla questione palestinese, le loro divergenze su come trattare con Hezbollah e Hamas, nonchè l’intricata vicenda relativa al nucleare iraniano e la perdita di terreno degli Stati Uniti hanno contribuito ad indebolire il triangolo creando scompiglio nell’intera regione.

Le prospettive del nuovo asse siro-turco-iraniano: la posizione statunitense

Fino a qualche tempo fa le relazioni turco-siriane e quelle turco-iraniane erano caratterizzate da ostilità e freddezza alla luce del legame turco con Israele e con la Nato, della questione curda e delle diverse esperienze storiche. L’ascesa al potere in Turchia del partito “Giustizia e Sviluppo” (AKP) ha però innescato un importante cambiamento politico che ha prodotto un immediato rafforzamento delle relazioni turche con i Paesi vicini. Tale rafforzamento è stato possibile grazie alla volontà di Ankara di aprire le sue frontiere e condurre ampie consultazioni con i suoi vicini musulmani in merito a rilevanti questioni regionali. Inoltre l’importante ruolo di mediazione tra Siria e Israele e tra Iran e Occidente svolto dalla Turchia ha consentito a quest’ultima di ottenere consensi nel mondo arabo. Di pari passo si è però assistito al deterioramento dei rapporti tra Ankara e Israele dovuto prima alla decisione di quest’ultimo di scatenare la guerra a Gaza alla fine del 2008 e poi al recente attacco israeliano ai danni della flottiglia umanitaria turca in acque internazionali.

A molti arabi sembra che la Turchia stia cercando di esercitare nella regione la stessa influenza che in passato fu dell’Arabia Saudita. L’Iran, dal canto suo, sta tentando di assumere il ruolo che per anni ha ricoperto l’Egitto nei confronti di Israele e dell’Occidente. Per quanto concerne invece la Siria il nuovo triangolo si adatta meglio alle sue ambizioni e può fornire ad essa la necessaria sicurezza e influenza.

Ovviamente è lecito chiedersi fino a quando potrà durare il nuovo trio con il crescere delle pressioni americane/occidentali; pressioni che, secondo taluni,  potrebbero spingere Ankara e Teheran a rompere con la Siria allo scopo di incrementare il proprio peso strategico. In tale ottica appare lapalissiano come il futuro dell’asse Turchia-Siria-Iran dipenda molto dall’atteggiamento statunitense. Barack Obama è sicuramente un leader più pragmatico che ideologico, come ha dimostrato la sua attenzione alle relazioni con la Cina piuttosto che a quelle con la Gran Bretagna, o alle relazioni con l’India e il Brasile piuttosto che a quelle con la Francia. Egli potrebbe quindi approfittare della nuova influenza turca nei confronti della Siria, della Palestina e dell’Iran per promuovere gli interessi americani nella regione, invece di rivolgersi all’Egitto, all’Arabia Saudita, o anche ad Israele, Paesi che accusano tutti enormi anomalie politiche.

Le prospettive del nuovo asse siro-turco-iraniano: la posizione russa

Una volta preso atto del sostanziale insuccesso del “rimodellamento” statunitense dell’area mediorientale, Mosca si è riaffacciata nella regione in occasione della recente visita del presidente Dmitry Medvedev a Damasco ed Ankara.

La Russia sostiene l’avvicinamento in corso tra Iran, Siria e Turchia, Paesi che sono entrati in una fase di intensa cooperazione che ha consentito alle loro economie di godere di una ventata d’aria improvvisa. Mosca non intende assolutamente restare lontano da questa nuova zona di prosperità come dimostra l’iniziativa congiunta di Russia e Turchia che ha abrogato la necessità di visti per i loro cittadini residenti all’estero: un turco può ora entrare senza formalità in Russia, mentre paradossalmente non è sempre autorizzato ad entrare né negli USA, né nell’Unione Europea, sebbene Ankara sia membro della NATO e candidato ad entrare nell’Ue.

Sul piano militare, poi, la Russia ha preso consegna della sua nuova base navale in Siria che permetterà ai russi di ristabilire l’equilibrio nel Mediterraneo. Mosca ha inoltre confermato la ormai imminente consegna di missili S-300 a Teheran per proteggere l’Iran delle minacce statunitensi ed israeliane; i vertici russi hanno infatti più volte affermato di non credere alle accuse occidentali a proposito dei programmi nucleari iraniani o siriani ed hanno a più riprese cercato di dissuadere gli Stati Uniti dall’eventualità di intraprendere una guerra in Iran, paventando il pericolo che questa possa degenerare in terza guerra mondiale. Hanno inoltre portato il loro sostegno al progetto di denuclearizzazione della regione, incentrato sullo smantellamento dell’arsenale nucleare israeliano.

Sul piano energetico, invece, ribaltando la strategia americana nel Mar Nero e nel Caspio, Ankara ha accettato un considerevole investimento russo destinato alla creazione di un oleodotto collegante Samsun a Ceyhan, che dovrebbe consentire di instradare il petrolio russo del Mar Nero verso il Mediterraneo senza dover ricorrere allo stretto, onde evitare il transito in quest’ultimo di materie inquinanti. Nello stesso tempo Ankara si è detta disponibile a partecipare al progetto relativo alla realizzazione del gasdotto russo South Stream, che, se confermato, renderebbe inutile il progetto concorrente degli Stati Uniti e dell’Unione europea che prevede la costruzione del gasdotto Nabucco.

In definitiva, il sostegno russo sembra al momento garantire la persistenza del  triangolo Turchia-Siria-Iran, in opposizione all’attuale diffidenza statunitense ed europea. Ciò che è certo è che l’equilibrio geostrategico nella regione mediorientale sta drasticamente mutando e potrebbe avere effetti la cui onda d’urto non esiterebbe a estendersi anche al delicato scacchiere caucasico.

Note

Per ulteriori approfondimenti si consiglia la lettura dell’articolo di Richard Javad Heydarian Iran-Turkey-Syria: An Alliance of Convenience” pubblicato da FPIF – Foreign Policy In Focus.

Riferimenti bibliografici

Frankel, Giorgio S. L’Iran e la bomba. I futuri assetti del Medio Oriente e la competizione globale. DeriveApprodi: 2010.

Campanini, Massimo. Storia del Medio Oriente. Il Mulino: 2009.

Salt, Jeremy. La disfatta del Medio Oriente. Due secoli di interventi occidentali nei Paesi islamici. Elliot: 2009.

Chomsky, Noam. Potere pericoloso. Il Medio Oriente e la politica estera statunitense. Palomar: 2007.

Halliday, Fred. Il Medio Oriente. Potenza, politica e ideologia. Vita e Pensiero: 2007.

Fiorani Piacentini, Valeria. Turchia e Mediterraneo allargato. Democrazia e democrazie. Franco Angeli: 2006.

Kassir, Samir. Primavere. Per una Siria democratica e un Libano indipendente. Mesogea: 2006.

Tremul, Francesco. La Turchia nel mutato contesto geopolitico. UNI Service: 2006.

Owen, Roger. Stato, potere e politica nella formazione del Medio Oriente moderno. Il Ponte Editrice: 2005.

* Alessandro Daniele è dottore in Relazioni e Politiche Internazionali (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”)

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Convegno CNR: Obiettivo ‘migrazioni’. Di alfabeti

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Obiettivo ‘migrazioni’. Di alfabeti

Una linea di ricerca condotta dall’Iliesi Cnr in collaborazione con Unesco e Fédération Internationale des Sociétés de Philosophie mira alla traduzione sincronizzata dei testi filosofici mediante l’allineamento nelle lingue di alfabeto non romano, come ebraico, arabo, farsi e cirillico. L’innovativo programma sarà presentato a Roma, il prossimo 10 gennaio

Nella società della globalizzazione a migrare non solo le persone, ma anche le lingue e i saperi, questa l’idea di fondo di ‘Migrazioni di alfabeti’, linea di ricerca dell’Istituto per il lessico intellettuale europeo e storia delle idee del Consiglio nazionale delle ricerche (Iliesi-Cnr).
Il programma, che si inserisce nell’ambito del più vasto progetto interdisciplinare ‘Migrazioni’, al quale prendono parte 13 Istituti del Cnr, sarà presentato a Roma, il prossimo 10 gennaio (Aula Marconi-Cnr, piazzale Aldo Moro 7, ore 9:30), durante un convegno organizzato da Maria Eugenia Cadeddu e Riccardo Pozzo dell’Iliesi-Cnr e introdotto da Tullio Gregory e Giovanni Puglisi (Commissione italiana per l’Unesco), con la partecipazione di Istituto di informatica e telematica (Iit-Cnr) e Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc-Cnr).

L’innovativa linea di ricerca, che mira ad ampliare nell’era del Web 2.0 l’accesso alle opere filosofiche più significative di tutti i tempi e culture, mediante l’allineamento semantico di corpora filosofici nelle lingue di alfabeto non romano come l’ebraico, l’arabo, il farsi e il cirillico, coinvolge altri 2 Istituti del Cnr ed è realizzata in collaborazione con Unesco e Fédération Internationale des Sociétés de Philosophie (Fisp).

L’obiettivo del nostro progetto è rendere accessibili in rete i testi filosofici nelle lingue originali e in traduzione sincronizzata”, spiega Riccardo Pozzo. “Oggi studenti e studiosi si documentano molto sui testi on line e grazie ai motori di ricerca possono trovare facilmente citazioni e corrispondenze fra ipertesti in romano, arabo e greco. Con il nostro progetto estenderemo questa possibilità anche alle altre lingue di alfabeto non latino”.

Dal punto di vista tecnologico, ‘Migrazioni di alfabeti’ “rende necessarie importanti sinergie di e-science, che permettano di trovare le matrici per traslitterare da qualunque alfabeto in entrata a qualunque alfabeto in uscita, e che realizzeremo grazie alle diverse competenze disciplinari dei ricercatori Cnr coinvolti”, prosegue il direttore dell’Iliesi-Cnr. Dal punto di vista culturale, “la filosofia si presta particolarmente a questo esperimento di allineamento semantico multilingue per via del suo lessico limitato e codificato. Ad esempio, una stringa testuale in alfabeto greco antico come ‘conosci te stesso’ (gnōthi seautón) oggi traslitterata in maniera pressoché univoca in alfabeto romano, in futuro produrrà altre traslitterazioni. Una volta raggiunto questo traguardo, avremo ipertesti e libri elettronici in alfabeti diversi ma legati da comuni motori di ricerca che permetteranno l’individuazione sempre più precisa di citazioni in originale e in traduzione nonché l’elaborazione di confronti lessicali. Per il cinese si lavorerà sulle corrispondenze tra lemmi e ideogrammi”.

La posta in gioco è non solo la comprensione linguistica ma lo scambio dialogico tra le diverse identità culturali grazie alle soluzioni informatiche sempre più raffinate. “L’Italia vanta un’antica tradizione di eccellenza nelle scienze umane”, conclude Pozzo, “nel XXI secolo diventa però strategico coniugare la filologia con la rivoluzione tecnologica della lettura. La migrazione degli alfabeti, dunque, rappresenta un banco di prova importante”.

Al convegno parteciperanno tra gli altri: Gholamreza Aavani (Iranian Institute of Philosophy), Enrico Berti (Iliesi-Cnr), Marcelo Dascal (Tel-Aviv University), Hans Poser (Technische Universität Berlin), Evandro Agazzi (Universidad Autónoma Metropolitana de México), Gino Roncaglia (Università della Tuscia), Sandro Schipani ed Emanuele Raini (La Sapienza-Cnr), Aldo Gangemi (Istc-Cnr) e Domenico Laforenza (Iit-Cnr).

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